Adozioni internazionali, Della Monica: L'Italia è un modello, ma c'è ancora molto da fare.
Intervista alla presidente della Commissione Adozioni Internazionali: Rinegoziare gli accordi, controllare i costi.
Pubblichiamo integralmente l’intervista dell’Agenzia Giornalistica Quotidiana Nazionale "il VELINO" alla Presidente CAI Silvia della Monica.
di Mauro Mazzucchi
Nel 2013 le coppie italiane hanno adottato circa tremila bambini. Se si dovesse stilare una classifica delle nazioni più civili e virtuose, sulla base delle richieste di adozioni internazionali, l’Italia rappresenterebbe di certo un’eccellenza mondiale. Da sempre, infatti, le coppie italiane sono ai primi posti tra i paesi destinati all’accoglienza. Non solo: gli italiani sono il popolo che in questo campo ha maggior spirito di sacrificio, accettando di farsi carico di casi più impegnativi dal punto di vista umano e sanitario, come ad esempio bambini grandi, o con malattie anche gravi. Il nostro governo, per regolamentare il flusso delle adozioni, ha creato una struttura ad hoc, la Commissione per le adozioni internazionali, che opera presso la presidenza del Consiglio. Il VELINO ha intervistato la presidente della commissione Silvia Della Monica, per sapere come opera questa struttura e qual è, nel nostro paese, lo stato dell’arte in questo campo.
Presidente, forse la commissione per le adozioni internazionali non è conosciuta a sufficienza dall’opinione pubblica. Può dirci qual è la sua funzione specifica e come funziona?
"La nostra Commissione è l'autorità centrale del nostro Paese in materia di adozioni internazionali rispetto al Segretariato de l’Aja, ed è composta dai rappresentanti dei Ministeri interessati, dai rappresentanti degli enti locali, dai rappresentanti delle famiglie e dagli esperti e richiede un coordinamento di competenze e di interventi, che solo la Presidenza del Consiglio è in grado di assicurare. La Convenzione de l'Aja, che l’Italia ha ratificato con la legge 31 dicembre 1998 n. 476, muove dalla fondamentale premessa che la condizione dei bambini che si trovano in situazione di abbandono o di grave carenza economico-sociale va aiutata e migliorata innanzitutto nel loro paese e per questo collega le problematiche relative all'adozione internazionale con l'attività di cooperazione internazionale. Inoltre la Convenzione si fa carico della situazione di debolezza in cui versano molte famiglie nei paesi di origine e della conseguente esposizione al commercio dei bambini e, conseguentemente, stabilisce che nessuna adozione internazionale deve essere consentita, se il minore non sia stato dichiarato adottabile dall'autorità competente del suo Stato e se questa autorità non abbia accertato l’impossibilità del suo affidamento nel paese stesso. La Convenzione esige inoltre che nessuno tragga arricchimenti illeciti di qualsiasi natura da attività svolte in materia di adozione internazionale e impone agli Stati aderenti di apprestare organismi di elevata professionalità, moralità e adesione ai principi della Convenzione stessa".
E in particolare in Italia come funziona?
"Con l’approvazione e l’entrata in vigore nel 1998 della legge di ratifica, il sistema delle adozioni internazionali in Italia è stato completamente ridefinito. La ratifica ha segnato per l’Italia la fine di un sistema improntato al fai da te, fondato sull’iniziativa personale degli aspiranti genitori adottivi e ha delineato un iter ben articolato, che è scandito da fasi ben distinte e che prevede l’intervento e l’interazione di più soggetti specializzati. Noi svolgiamo, quindi, una delicata funzione di controllo e garanzia dell’intera procedura, autorizzando l’’attività degli enti e vigilando sul loro operato".
Quali sono i requisiti per le adozioni internazionali?
"I requisiti per l'adozione internazionale sono gli stessi previsti per l'adozione nazionale, e sono definiti dall'art. 6 della legge 184/83 (come modificata dalla legge 149/2001). La procedura si articola attraverso una serie di passaggi:
a) La presentazione della dichiarazione di disponibilità all'adozione internazionale al Tribunale per i minori;
b) L'indagine dei servizi territoriali;
c) Il decreto di idoneità, rilasciato dal Tribunale per i minorenni;
d) L'incarico ad un ente autorizzato, che segue i coniugi, svolge le pratiche necessarie per tutta la complessa procedura e trasmette tutta la documentazione riferita al bambino, insieme al provvedimento del giudice straniero, alla Commissione per le adozioni internazionali in Italia;
e) L’autorizzazione all’ingresso del minore adottato. La Commissione per le adozioni internazionali autorizza l'ingresso del bambino adottato in Italia e la sua permanenza, dopo aver certificato che l'adozione sia conforme alle disposizione della Convenzione de L'Aja;
f) La trascrizione del provvedimento di adozione. La procedura si conclude con l'ordine, da parte del tribunale per i minorenni, di trascrizione del provvedimento di adozione nei registri dello stato civile".
Quali sono gli stati più virtuosi in tema adozioni internazionali? Come colloca l’Italia in un ideale classifica?
"Il sistema italiano in ambito internazionale viene considerato “un modello” da seguire grazie anche all’attività costante di raccordo e confronto che l’Italia svolge con tutti i Paesi di accoglienza. Con i Paesi di origine (cioè paesi dove l’Italia adotta) esistono ormai rapporti consolidati e di collaborazione. L’Italia si assicura che in tutti gli Stati stranieri in cui opera per le adozioni internazionali le normative e le procedure di adozione siano rispettose dei principi espressi dalla Convenzione dell’Aja in materia di adozione internazionale e che quindi rispondano agli standard di garanzia e trasparenza necessari ad assicurare la tutela del superiore interesse dei minori. Fermo ciò, i vari Stati hanno ognuno procedure e modalità operative spesso profondamente diverse e ciò comporta per la Commissione una delicata, complessa e continua attività di confronto, controllo e verifica per assicurare l’effettivo rispetto sia dei diritti dei minori adottati che degli aspiranti genitori adottivi. A tal fine una delle attività che impegnano particolarmente la Commissione è la negoziazione e la stipula di Accordi bilaterali con i vari paesi di origine atti a facilitare i rapporti tra i due paesi e a rendere il sistema di adozione più sicuro. E’ interessante notare, come per alcuni paesi, come ad esempio la Federazione Russa e il Brasile, l’Italia rappresenta il paese più affidabile nel panorama delle adozioni internazionali, fino al punto di avere rapporti quasi esclusivamente con l’Italia. E’ evidente che essendo spesso i paesi di origine paesi con forti problematiche sociali, economiche e politiche, di volta in volta si possono avere delle “crisi paese” (vedi Ucraina) che si riflettono ineluttabilmente anche sulle adozioni, che pertanto possono subire forti rallentamenti o sospensioni (che incidono quindi qualche volta in maniera determinante sul numero complessivo di adozioni portate a termine - elementi questi importanti da considerare nella lettura dei dati). Si è riscontrato, inoltre, che negli anni il proficuo confronto con i paesi di accoglienza (come è l’Italia) ha consentito nei paesi di origine l’elevarsi della sensibilità politica ed istituzionale che ha portato a sviluppare ed implementare politiche nazionali di maggiore tutela dei diritti dei minori, che hanno determinato, quindi, in quei paesi modifiche normative, che da una parte hanno rallentato le procedure di adozione (anche perciò con un calo del numero dei bambini adottati in quei paesi), ma che, d’altra parte, hanno significato per questi paesi l’elevarsi dello standard qualitativo delle tutele per i minori e quindi una maggiore aderenza alle normative internazionali poste a presidio di tali diritti".
Ci può fornire alcuni dati?
"Nel corso dell’anno 2013 le famiglie italiane hanno realizzato l’adozione internazionale di 2.825 bambini, provenienti da ben 56 diversi Paesi. Il dato raggiunto, considerato il significativo decremento del fenomeno a livello mondiale, ha però registrato un calo inferiore rispetto all’anno precedente (con una flessione delle coppie adottive del 7,2% rispetto al 2012 paragonata al calo del 21,7% del 2012 rispetto al 2011) con margini percentuali più contenuti di quelli emersi in altri Paesi europei o extra-europei. Anche nel 2013 si è quindi registrata una stabilizzazione della disponibilità delle famiglie italiane ad adottare nonostante il continuo cambiamento del contesto internazionale e la crisi economica. Questi dati confermano come l’Italia rappresenti uno dei Paesi di destinazione più attivi nello scenario internazionale, in grado di offrire un’accoglienza che tenga conto delle sempre diverse e particolari esigenze dei bambini stranieri in stato di adottabilità. Le famiglie italiane dimostrano una grande sensibilità alle adozioni, infatti, più che negli altri paesi di accoglienza, sono disponibili ad adottare bambini grandi, che hanno problemi di salute, anche gravi e non reversibili, gruppi di fratrie (e cioè i cd “special needs” secondo i criteri della Convenzione Aja). Se si vuole considerare il fenomeno (o il successo) dell’adozione internazionale tenendo presente solo l’ottica dei numeri, l’Italia, storicamente sempre ai primi posti, per il 2013 si colloca al secondo posto dopo gli Stati Uniti. Preme però mettere in evidenza che una lettura che pone l’attenzione solamente sul dato numerico rischia di falsare l’analisi del fenomeno, poiché sposta l’attenzione dalla qualità alla quantità. E’ assolutamente necessario, invece, valutare il fenomeno sotto il profilo della qualità, e sotto questa ottica il sistema di accoglienza adottiva italiano complessivamente, sia con riguardo alla disponibilità e alle capacità delle coppie adottive, sia con riguardo al sistema istituzionale posto a governo dell’intera procedura, risponde nella maniera più idonea a livello mondiale ai reali e più profondi bisogni dell’infanzia abbandonata".
Quanto è stato fatto negli ultimi anni e quanto c’è da fare in questo campo?
"Molto è stato fatto, ma la situazione nazionale e internazionale è mutata e la Commissione deve essere rilanciata sul piano nazionale e internazionale. Sul piano internazionale occorre anzitutto incentivare la collaborazione in materia di adozioni partendo dal presupposto che l’adozione internazionale, svolta secondo i principi della convenzione de l’Aja, è una forma di tutela dei diritti umani e in particolare dei diritti dei minori, quindi occorre intensificare i rapporti con le autorità centrali che si occupano di adozioni internazionali e approfondire legislazioni e procedure giurisdizionali. Penso anche alla rinegoziazione degli accordi in materia di adozioni internazionali con i paesi che non hanno ratificato la convenzione Aja e quelli che l’hanno ratificata (in tal senso anche la raccomandazione del Comitato ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza). Ciò è condizione necessaria affinché possano esserere garantiti i diritti fondamentali del bambino, primo fra tutti quello dell’accertamento del suo effettivo stato di adottabilità. Dobbiamo infatti porre il principio dell’interesse superiore del bambino come cardine nella legislazione, e nelle procedure che disciplinano l’adozione e garantire, rafforzandolo, un follow-up sistematico sul benessere dei bambini adottati durante gli anni precedenti e sulle cause e le conseguenze dell’interruzione dell’adozione. In Italia c’è da effettuare una verifica degli enti autorizzati, per verificare la loro adeguatezza sotto il profilo delle competenze, delle modalità operative e dei requisiti, nonché verificare e razionalizzare i costi delle adozioni. E, tra le altre cose, ottenere l’incremento delle risorse e in particolare dotare la Commissione di un apposito fondo per svolgere i complessi compiti in sede nazionale e internazionale".
Sempre in tema di dati: quante sono in Italia le richieste di adozione, e quante, in percentuale, giungono a buon fine?
"La “disponibilità ad adottare” (tecnicamente non esiste la “richiesta di adozione”) in Italia è molto alta. I decreti di idoneità all’adozione di minori stranieri (emessi dai Tribunali per i Minorenni) pervenuti alla Commissione sono numerosi (ad esempio, con riferimento al periodo 2010-2013, abbiamo 4277 decreti nel 2010; 4023 nel 2011, 3893 nell’anno 2012 e 2909 nel 2013). Da sempre, il monitoraggio dei dati ha registrato un fisiologico decremento del numero dei proseguimenti dei percorsi adottivi rispetto ai decreti emessi, in ogni caso nel tempo una lettura complessiva dell’andamento del processo fa registrare un completamento dei percorsi adottivi abbastanza elevato. Bisogna però mettere in evidenza che il percorso adottivo si sviluppa attraverso diverse fasi la cui durata non è sempre identica per molteplici ragioni, ad esempio varia a seconda del paese straniero in cui si decide di adottare e dalla disponibilità della coppia".
Come vede la possibilità di adottare da parte di single?
"La normativa italiana vigente non prevede la possibilità di adottare da parte dei single. In ogni caso, va evidenziato che la maggior parte dei paesi di origine, comunque, non consente l’adozione dei propri minori da parte di persone non coniugate".
Quante coppie ricorrono all’affido internazionale temporaneo?
"L’istituto dell’affido internazionale temporaneo non esiste. Se con tale espressione ci si vuole riferire ai cosiddetti “soggiorni terapeutici” o “soggiorni di risanamento” che coinvolgono i bambini provenienti dalle aree limitrofe a Chernobyl, bisogna dire che tali programmi esulano dalle competenze della Commissione. Negli anni, però, i soggiorni di questi bambini in Italia hanno fatto nascere legami affettivi molto forti tra loro e le famiglie che li accolgono, tali da determinare spesso queste famiglie ad intraprendere il percorso per adottarli. Questo ha determinato la necessità di confrontarsi con la Bielorussia (paese di origine della quasi totalità di questi bambini) per trovare modalità legittime e corrette per far sì che tale percorso potesse svolgersi nel pieno rispetto dei diritti dei minori. Infatti, moltissimi dei bambini bielorussi che beneficiano dei programmi di risanamento non sono adottabili (per intenderci hanno famiglie di origine), e quindi si è dovuto procedere a regolamentare tale fenomeno".